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J-Pao
view post Posted on 23/7/2010, 17:26




La radio trasmette le notizie sul traffico in autostrada, l’aumento del volume da parte di papà mi richiama dai miei pensieri.
Sarà la ventesima volta che le sento da quando siamo partiti; un incidente qui, uno lì, un camion ribaltato in A4 e code per lavori su tutta la rete autostradale.
“Naturalmente” commento.
Mentre viaggio non riesco a leggere, mi viene la nausea se non fisso gli occhi su un punto lontano, però tengo in mano un manga ed ogni tanto studio la copertina, finché una vertigine non mi fa capire che basta così.
Ma non mi annoio, mi piace vedere le cose in movimento.
Fuori dal finestrino dell’auto il paesaggio scorre leggero; dalle montagne iniziali s’è passati alle basse colline, ai campi coltivati e non, ai filari d’uva.
Poi pianura, fabbriche, ancora pianura, budelli di cavalcavia nei pressi di Bologna.
Mio papà guida e impreca contro tutti quelli che lo sorpassano che “ non si guida così come pazzi! Sempre di fretta! Ma dico io …” ed a seguire vari e coloriti insulti.
Mamma se la prende con lui per ogni frenata leggermente improvvisa, per ogni sterzata brusca, perché l’aria è troppo fredda ( clima sempre a palla ) o perché voleva i vetri oscurati ma lui per risparmiare sugli optional i vetri oscurati non li ha messi.
E poi, ovviamente, perché “ è la solita berlina del cazzo! Coi bei gipponi che ci sono in giro abbiamo speso trentamila euro per la solita berlina del cazzo!”
Quando fa così non è che parla, starnazza.
“… berlina del cazzo!! Quak Quak Kazzo! Quak! Berlina!Kazzo!Quak!!”
Mamma chiama i suv ‘gipponi’; io sghignazzo mentre dai ‘gipponi’ passano a rinfacciarsi ogni cosa spiacevole successa durante la vita intera, salvo poi finire a discutere dell’impatto ambientale che i ‘gipponi’ hanno su tutti i mali del mondo e che bisogna essere orgogliosi di aver scelto una auto controcorrente come la berlina media.
Però un classe M lucido e nero ci sorpassa a velocità da decollo.
“Sarà una auto blu” ringhia il babbo, ‘rosicone’ penso io e mamma soffia e ricomincia la cagnara.
Il navigatore ci avvisa che dovremmo fare inversione a U il prima possibile, ha perso un attimo il segnale ed ora non si ritrova più con la cartografia.
‘Siamo in autostrada e se facciamo inversione lo vedi che macello vien fuori’ penso.
Il babbo lo guarda, poi guarda la strada, poi posa nuovamente gli occhi sul piccolo monitor del navigatore e scuote il capo: vetri oscurati no, millecinquecento euro di navigatore satellitare con lettore DVD e disco rigido per caricare file musicali in MP3 sì “ perché aumenta il valore dell’usato “, come dice sempre lui.
Poi un riverbero di luce, violento ed improvviso, colpisce le mie retine e mi trafigge la testa dalla fronte alla nuca: il mare appare illuminato dal forte sole del primo pomeriggio.
E’ laggiù, alla mia sinistra, abbiamo passato Ancona e siamo sull’autostrada Adriatica, la meravigliosa Adriatica, coi rododendri in fiore, gli sprazzi di mare, i borghi antichi sopra le gallerie.
M’illumino di riflesso e mi protendo contro il vetro, il sibilo del box sul tetto mi pare amichevole ora, non penso più che da un momento all’altro si stacchi e finisca sul parabrezza dell’auto di un povero diavolo perché papà lo ha fissato frettolosamente: siamo arrivati al mare, mancano ancora duecento e passa chilometri ma siamo arrivati al mare, trecentoquaranta giorni lontano, ma eccomi al mare.
Controllo l’ora sul sea pathfinder che porto al polso, compagno di immersioni.
Le 14 e pochi minuti.
Non ci siamo ancora fermati per pranzo perché “ bisogna spingersi il più in giù possibile prima di mangiare, poi ti passa la voglia di guidare “ o almeno così aveva detto papà due ore fa, quando avevo esordito con “ C’è l’autogrill, sento un certo languorino, ma la mia non è proprio fame, è più … voglia di qualcosa di buono!”
“ Sarai mica come la maiala della pubblicità, che glielo ficcherei in bocca io a quella lì il cioccolatino!”
Babbo sa essere pure spiritoso alle volte, peccato che mamma non apprezzi la sana, volgare ilarità maschile.
Ripensare alla tizia della pubblicità mi fa sorridere, ma gli angoli della bocca prendono una piega all’ingiù quando il cellulare vibra e leggo sul display che la mia cara ex mi scrive :
“ Mi dispiace, non doveva finire così …“
Puntini , puntini, puntini.
‘ Io quando torno lo scrivo su facebook che sei una troia’.

Area di servizio, autogrill, con la scusa di andare al bagno mi defilo dal panino coll’affettato caldo, umido, viscido per essere rimasto chiuso in una borsetta di cellophane dalla sera prima.
I miei mangiano in auto perché così hanno la certezza che nessuno gli svaligi la vettura.
Li osservo dall’ampia vetrata, con gusto affondo i denti nella rustichella calda e morbida e sorseggio la mia bella coca cola fresca.
Da questo punto di vista fanno tenerezza, sono laggiù che masticano nervosamente il pane ciccoso e stoicamente sopportano l’impietoso sole d’inizio luglio, tutto per la relativa sicurezza che così risparmiano i soldi del pranzo e vigilano la loro berlinetta nuova, le loro valigie piene di vestiti, salviettoni, amenità spiaggicole varie ed affini.
Però li stimo, perché così fanno la guardia anche alla mia preziosa attrezzatura da pesca in apnea; bravi, mamma e papà, siete il mio orgoglio e la mia tranquillità, che il vostro Dio vi strabenedica tutti e due.
Ora che mi sono rifocillato, che ho usato i servizi igienici, che ho dato un’occhiata alle belle ed inutili carabattole, alle sozzerie industriali spacciate per specialità regionali che si trovano in ogni autogrill che si rispetti, beh ora potrei anche andare dai miei e dirgli ‘ andate a prendere un caffè, qui faccio la guardia io ‘ ma non farò niente di simile: me ne starò qui al fresco , finiranno il misero pasto, li vedrò andare al bagno a turno ed aspetterò che mi chiamino sul cellulare e mi domandino dove cazzo sono finito. Sono un adolescente, no? Diciassette anni fra una settimana, sono egoista, cattivo, meschino, diabolico.
Spietato.
Dieci minuti e squilla il cellulare, “ Arrivo “ e metto giù.
Uscendo mi scappa l’occhio sullo scaffale dei DVD: Emma Watson mi guarda fisso da una copertina con a fianco il maghetto più famoso del globo; molto, molto carina la Watson, me la immagino che mi infila la lingua in bocca.
Arrivo all’auto che la bella Emma ha già terminato il riscaldamento ed è passata al sesso orale.
Mamma, inviperita dallo stress del viaggio, dalla calura e dal pranzo insoddisfacente, mi aggredisce appena vede la mia figura avanzare fra la distorsione ottica dovuta all’asfalto bollente, allo scarico delle auto, al rumore dei grossi camion che sfrecciano a pochi metri di distanza.
“ Ma Mamma! “ esclamo con occhi increduli “ io sono andato al gabinetto e poi devo aver preso freddo perché ho avuto un attacco di dissenteria …” mi carezzo il ventre circolarmente “ … e sono dovuto tornare di corsa al bagno! Avrei voluto venire a darvi un attimo il cambio ma, davvero avevo certi torcioni alle budella che … !” simulo una fitta, smorfia della bocca, faccio uno scatto in direzione dell’autogrill e mi fermo, mi volto “ No, tutto passato, uhff!!”.
L’espressione incollerita di mamma si scioglie progressivamente fino ad assumere uno sguardo dolce e compassionevole.
Papà mi guarda di sbieco, gli occhi due lame taglienti.
Sostengo lo sguardo con la serenità di chi sa di essere in torto, ma è consapevole che la parte accusatrice non ha alcuna prova per incastrarlo.
Saliamo in auto, mi accomodo sul sedile posteriore.
Sono sazio e sereno, aspetto che i miei prendano posto e allungo un pacchetto di pocket coffe.
“ Vi ho portato questi perché … ecco, non siete riusciti a prendervi il caffè insieme per colpa mia no? Tenete.”
Mamma ha gli occhi che gli brillano, prende la piccola scatoletta di cioccolatini come se si trattasse della più sacra delle reliquie, se ne gusta uno con somma soddisfazione e poi inizia ad inveire contro papà : “ …tu e la tua aria condizionata del cazzo!! Guarda cos’hai fatto a nostro figlio, ha preso freddo ed ha la dissenteria!! Tu e la tua aria condizionata del cazzo!!” ‘ Quak quak!! Kazzo!! Aria del Kazzo!! Quak!!’ “ Se non la alzi almeno a 25 gradi adesso giuro che quando arriviamo al villaggio ti metto a dormire nella veranda del bungalow!!”
Nello specchietto del parabrezza incrocio ancora gli occhi di papà, glielo leggo nel pensiero che lui sa, che lui non ci casca.
I miei occhi invece sono limpidi, felici, e dicono ‘ non sono il figlio migliore del mondo? Guarda la mamma com’è contenta, è così contenta che potrebbe piangere, la scema, cosa vuoi che sia il tuo sacrificio per la sua felicità?’.
Appena le ruote dell’auto acquistano velocità mi stendo sul divanetto con le gambe piegate, appoggio la testa sul mio zainetto e chiudo gli occhi alla ricerca di un breve pisolo.
Emma Watson è ancora intenta a soddisfare le mie fantasie sessuali, ma scivolo rapidamente nel sonno dei giusti.

“ Hei!”
Uno scossone.
“ Sveglia, siamo arrivati.”
Siamo arrivati al villaggio da almeno venti minuti, fingendo di dormire ho aspettato che ci assegnassero il bungalow in legno ed ora speravo tanto di continuare a fingere di dormire per evitare di aiutarli a scaricare le valigie, ma sarebbe ridicolo ignorare gli scossoni di mio padre e quindi mando in risposta una specie di sommesso mugolio.
“ Ma lascialo stare! “ esordisce mamma “ non lo vedi che è sfinito? Dopo l’attacco di dissenteria di oggi sarà stremato, lascialo riposare, intanto scarichiamo noi, no? “
‘Ah, come sarebbe facile la vita se fossero tutti ingenui come te, mamma.’
“ Basta con la commedia, dai, siamo stanchi anche noi, aiutaci a scaricare “ mi dice piano, all’ orecchio, mio padre.
Obbedisco e scendo dalla vettura, mi stiracchio e comincio subito a portare le valigie nella piccola costruzione in legno che ci farà da dimora per questi quindici giorni.
Il sole è già percettibilmente basso, l’orologio dice che sono le cinque, controllo il cellulare e trovo il messaggio di un amico :
“ Tutto Ok il viaggio? Passatela bene e ricorda di fare buon uso dei miei regalini “
Entro nella casupola, poso l’ultima valigia e mi chiudo in bagno, tolgo il pacchetto di Marlboro di tasca e lo apro, in mezzo ad una quindicina di sigarette si scorgono due robusti spinelli a forma di clava, regalo di buon augurio del mio amico.
Sorrido, me li ha dati per “ socializzare, il settantacinque per cento degli adolescenti fuma stupefacenti no? Metti che trovi la gente giusta ma non sai come rompere il ghiaccio: tu glieli fai vedere e li inviti a fumare assieme, se ci sono fighe nel gruppo tanto meglio! “ ricordando le sue esatte parole.
Che fumo qualche sigaretta ogni tanto i miei lo sanno già da un bel po’ di tempo, tenere normalmente in tasca il pacchetto non li insospettisce, se avessi tentato di occultarlo nello zaino od in qualche valigia l’avrebbero sicuramente aperto e controllato.
Però è rischioso lo stesso, me ne rendo conto, devo trovare un posto dove nasconderli.
“ Ale tutto bene?”
E’ la mamma, penserà che ho ancora la dissenteria.
“ Cazzo mamma non mi devi parlare quando sono al bagno!! Lo sai che è una cosa che mi blocca che poi non ci riesco più no? “ Tono scocciato.
Sento mio papà borbottare qualcosa del tipo “le solite cazzate”, esco dal bagno, entro nella piccola stanza col letto a castello che da ora è la mia stanza e deposito portafogli e sigarette dentro il cassetto di un piccolo comodino, esco dalla casa e mi muovo in direzione della spiaggia.
Penserò poi a fare il giro del campeggio, ora corro verso il mare.
Raggiungo la spiaggia, non è gremita ma quasi tutti gli ombrelloni sono aperti, li attraverso senza rallentare la corsa.
Entro in mare correndo finché l’attrito dell’acqua sulle gambe non mi sbilancia ed allora mi slancio, sento i pantaloni neri della Kappa farsi pesanti, la T-Shirt bianca appiccicarsi al ventre, sento la frescura del mare scivolarmi sulla faccia, fra i capelli, carezzarmi dolcemente.
Sento il sale che mi lava via l’odiosa puzza di montagna che mi porto addosso, tengo il fiato e affondo le dita nella sabbia del fondo.
La carezzo, apro gli occhi e mi bruciano.
Ascolto il rumore che fanno le bolle quando risalgono verso la superficie.
Io lo amo, il mare.
Più della terra dove sono nato, dove abito.
Riemergo, mi volto, la spiaggia è bella, ordinata, attrezzata, con ai lati due lunghe scogliere artificiali che si protendono verso il mare aperto e più al largo le massicciate frangiflutti in pietra che impediscono l’erosione della costa durante le mareggiate.
‘ Buone zone di pesca ‘ penso.
Sento urlare un “ Heeeiii!!!” e mi volto.
Il Bagnino mi sta venendo incontro, è sceso dalla sua torretta di guardia e mi fissa con occhi curiosi, forse stupiti.
Si ferma sul bagnasciuga e chiede se è tutto a posto; rispondo che “ sì, grazie, è tutto a posto, cioè, è che io faccio sempre così il primo giorno di vacanza, perché ecco è tipo un rito che…”
Sono in acqua, vestito, gocciolante, con un’espressione ebete; la gente che ha seguito la corsa ed il tuffo mi sta fissando.
Un gruppetto di giovani, ragazzi e ragazze che stimo sulla mia età.
Ridacchiano, chi più chi meno.
C’è la in mezzo un ragazzone abbronzato che mi indica, poi si volta verso alcune ragazze e si tamburella una tempia con l’indice.
Ridono più forte.
Fingo noncuranza, esco dall’acqua a testa alta e torno al bungalow, soddisfatto.
Nonostante abbia studiato la planimetria del villaggio dal loro sito internet, a fatica individuo la nostra abitazione nel dedalo di viuzze ghiaiose e casupole tutte uguali, mio padre deve aver portato l’auto al parcheggio e riconosco casa nostra solo dalla vocina di mia madre che canticchia, mentre disfa le valigie e sistema i letti.
A quest’ora sono tutti in spiaggia, il villaggio è silenzioso e tranquillo.
Mi spoglio fuori, nella piccola veranda col tavolo e le tre sedie di plastica, metto i vestiti bagnati sulla piccola staccionata laterale ed entro in camera mia in mutande.
Scelgo di dormire sul letto sotto, quello sopra lo uso come appoggio per tutte le cose che mi sono portato: psp, caricabatterie di cellulare ed affini, netbook, libri e fumetti, fotocamera, butto tutto là sopra.
Apro la mia valigia e mamma fa capolino nella piccola stanza, “ Oh! Sei arrivato, ma sei tutto bagnato? Ti sei buttato a mare vestito!?” annuisco senza voltarmi “ Papà è a fare compere al supermercato vicino, ma no, lascia dai, i panni te li sistemo io nell’armadio tu va a farti una doccia ed asciugati per bene che la salsedine rovina la pelle!”
“ La salsedine, rigenera!, la mia pelle.” faccio notare, ma visto che l’idea di una bella doccia mi garba assai prendo shampoo e sapone, mi avvolgo la salvietta in vita e mi avvio verso i bagni pubblici, che so essere dotati di ampie docce.
Il piccolo servizio in dotazione al bungalow è dotato di un box doccia così misero e stretto che al solo pensiero di entrarci mi si accappona la pelle, e poi usare i bagni pubblici fa tanto Giappone.
Mentre sono di ritorno al bungalow controllo l’orologio: le sei passate.
Camminando, noto che i piccoli aghi di pino marittimo, i cui alberi alti ombreggiano tutto il campeggio e fanno da dimora a cicale e ghiandaie, mi si appiccicano ai piedi ed alle infradito ancora bagnate, sopporto il fastidio che mi da sapere che il mondo terreo ha già cominciato a contaminarmi dopo la purificazione in mare.
La cena è tranquilla, i miei cominciano a rilassarsi ed hanno volti ed espressioni meno tese.
Mentre mangiamo in veranda, le persone di ritorno dalla spiaggia e chi passa davanti al nostro bungalow saluta i nuovi arrivati, a cui rispondiamo con un timido sorriso ed un “salve, saluti anche a voi!”.
Finita la cena decido di armare l’arbalete da settantacinque centimetri per la pesca in apnea, preparare tutta l’attrezzatura e rimandare a domani nel primo pomeriggio il giro esplorativo del campeggio e la ricerca di amici.
Ma soprattutto, amiche.
Compagnia, insomma.
Mi accendo una Marlboro e gusto lungamente il primo tiro , poi soffio fuori il fumo dalla bocca e dalle narici.
La appoggio all’angolo del tavolo e me ne dimentico.
Mentre avvito gli elastici in testata una zanzara mi punge al braccio, la spiaccico con una manata, prendo l’asta e fisso la sagola nel codolo, la armo nella sua sede e faccio i due giri col monofilo in nylon lungo l’affusto del fucile.
Fisso l’altra estremità della sagola al tendi sagola in testata ed esamino l’insieme; i nodi sono piccoli, stretti e precisi, le impiombature perfette, strette a pinza.
Dalla sacca prendo una lima e ripasso la punta dell’asta in acciaio, affilatissima.
Una zanzara mi si posa su una guancia, con uno schiaffo la uccido.
Il coltello da braccio è pronto, la vecchia muta presa usata da un amico di mio padre l’ho arieggiata e spalmata con un poco di borotalco, prendo la maschera e la pulisco con un prodotto anti appannamento.
Risciacquo il boccaglio nell’amuchina, gonfio la boa, preparo pinne e cavetto porta pesci.
Non manca nulla, sono le nove ed il cielo è blu profondo.
Papà e mamma tornano dal bar, sono andati a prendere un caffè.
Camminano mano nella mano, lentamente, trascinando le ciabatte nella ghiaia.
Si fermano a fare due parole, che da questa distanza non sento, con un signore di una certa età.
Dalla villetta a destra della nostra giungono una musica leggera ed il rumore di un phon, da quella alla sinistra lo sciacquio delle stoviglie nel lavabo.
Appena arrivano in veranda li avviso che domattina andrò a pescare alle sei circa, che uscirò dall’acqua quando loro saranno già in spiaggia quindi di portare un salviettone anche per me.
Vanno a coricarsi, provati per il viaggio.
Decido di lasciargli una mezz’oretta di intimità e vado ai servizi pubblici, a buttare l’immondizia composta dagli involucri della frutta acquistata da mio padre, dalle confezioni aperte della cena, dalle tre scatolette vuote di simmenthal.
Tornando,ascolto il leggero maestrale che corre fra i pini, mi spoglio, mi stendo a letto e mi masturbo, allungo un braccio al letto di sopra e prendo il primo fumetto che mi capita ed il cellulare su cui punto la sveglia per le sei in punto.
Sena Kobayakawa è impegnato ad affrontare Shin, il suo grande rivale, leggo una mezz’oretta e mi si chiudono gli occhi.


Edited by J-Pao - 4/8/2010, 15:22
 
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J-Pao
view post Posted on 4/8/2010, 14:22




Sono sveglio, ho passato la notte a sognare spigole grandi come squali e saraghi enormi e pacifici.
Respiravo sott’acqua ed i pesci mi chiedevano cosa volessi fare di quel fucile puntato contro di loro.
Le cinque e quarantatre minuti, disattivo la sveglia del cellulare e mi alzo.
Il cielo è di un colore immobile, metallico, la pace che aleggia sulla spiaggia mi penetra e rallenta i miei battiti cardiaci, calma il respiro.
Il mare è argento, solo una leggera risacca lascia intendere che non sia un grande e vitreo specchio del cielo.
Decido di entrare in acqua dalla punta di una delle massicciate che si spinge verso il largo, bagno la muta per meglio farla scorrere sulla pelle e procedo ad indossare tutta l’attrezzatura.
Lego la sagola alla boa e la aggancio con un moschettone alla cintura porta piombi, sputo nella maschera, la sciacquo e con attenzione la frappongo fra i miei occhi ed il mondo.
Controllo ancora che l’arbalete sia in ordine, porto il morso del boccaglio fra le labbra e scivolo silenziosamente in acqua, scomparendo dalla terra ferma e nuotando in direzione delle massicciate frangiflutti, allontanandomi il più possibile dalla spiaggia che si popolerà di bagnanti chiassosi.
Ora i pensieri sono ridotti al minimo indispensabile, tutto è in funzione della cattura della preda.
Non sento lo scorrere del tempo ma il fluire delle correnti; la luce del sole sorgente illumina un mondo che non appartiene alla realtà di chi respira aria, ma è culla di esistenze intense fatte di paura e fame.
Qui, conta mangiare, difendersi e mangiare, prestare attenzione ad ogni singolo elemento in movimento perché ciò che un pesce sa e che l’uomo ha scordato è che natura è lotta per la sopravvivenza.
Sui massi sommersi crescono belle alghe e piante acquatiche, verdi e marroni, e molti mitili che ricoprono intere parti di scogliera come fossero un tappeto nero.
Scivolo di roccia in roccia, mi ventilo e mi immergo nel silenzio più totale.
Trascinandomi sul fondale con la mano libera, occulto il mio intero corpo e le sue appendici motorie in una larga cavità fra due rocce, protendo l’arma e aspetto, il tempo di una apnea.
Se, come ho calcolato, la posizione è buona, con la corrente a favore qualche pesce curioso finirà col presentarsi al raggio d’azione dell’asta acuminata.
Per questa manciata di secondi, interminabile e lenta, assorbita dalla mia continua fame d’aria, non appartengo più agli animali terrestri ed incredibilmente mi sento me stesso, nel posto in cui voglio stare.

Esco dall’acqua nello stesso punto in cui sono entrato, la gravità mi restituisce il peso del mio corpo che avevo lasciato fra la sacca vuota, la maglietta ed il cappello da baseball in paglia.
La spiaggia è gremita, la giornata calda e priva di vento, tutti gli ombrelloni sono aperti ed i bambini già sguazzano fra le basse onde che si creano a riva.
Mio papà mi stava spettando, mi chiede com’è andata e rispondo bene.
Tolgo le pinne ed i pantaloni della muta, ho un bisogno impellente di orinare e rientro in acqua, la sento fredda sulla pelle delle cosce e sull’inguine.
Papà si volta un secondo in direzione della spiaggia e mi indica l’ombrellone, recupero la boa alla quale ho appeso il cavo porta pesci con le prede pescate, i primi curiosi non tardano ad arrivare.
“ Ma sarà lo scintillio delle squame che li attira o l’odore? Tipo le mosche? “ borbotto.
“ Non essere scortese “ mi ammonisce da bravo genitore il babbo “ così agghindato che sembri rambo pensavi di non attirare gente che magari non ha mai visto un pescatore in apnea? “
Un anziano, due donne di mezz’età e tutto un branco di bambini.
Fanno domande alla quale rispondo, vogliono sapere questo e quello, a cosa serve, se è buono da mangiare, se c’è tanto pesce.
Soddisfatta la curiosità se ne vanno, solo l’uomo anziano rimane.
“ Vent’anni fa su queste coste ci prendevo di quelle spigole! “ mi dice in un tono caldo e cordiale “ venivo qui coi figli e la moglie e pescavo come te, ma avevo solo un costume, due pinnette gialle ed un fuciletto ad aria compressa.
I primi di Giugno l’acqua era molto fredda ancora e giravano certi siluri di spigole che quando ti puntavano dritto ti facevano saltare il cuore in gola, la più grande che ho preso era cinque chili e mezzo, una femmina, ho ancora la foto a casa.”
Ascolto avido, mentre mi spoglio dell’attrezzatura e comincio a riporre tutto nella borsa.
Stenderò a casa muta e guanti ad asciugare, dopo averli sciacquati in acqua dolce.
“ Dì un po’ ma questa come te la cucini? “
Sta soppesando con le mani una mormora di quattrocento grammi circa, il foro dell’asta è ben visibile appena dopo gli opercoli branchiali.
“ Penso che la sfiletterò e la cucinerò in padella con solo un poco di olio e rosmarino.” Rispondo guardando la pelle lucente e gli occhi che ancora sembrano vivi, tanto sono lucidi e trasparenti.
La appoggia nel sacco dove stanno gli altri pesci, li controlla ad uno ad uno e poi si complimenta con me per la buona pesca.
“ E’ stato abbastanza facile, il pesce era molto tranquillo oggi ed il mio fucile ad elastici è molto preciso, guardi, i due grossi cefali mi sono venuti incontro dritti dritti “ mimo i movimenti con le mani “ e non ho dovuto far altro che allineare bene il fucile e sparare,” il dito indice della mano destra trafigge idealmente la sinistra “ il sarago invece è stato più astuto ed ho dovuto fare su e giù un paio di volte prima di convincerlo a presentarsi col muso fuori dalla tana in cui si era ficcato “ riprendo fiato “è stato un tiro particolare, ma molto bello.”
Mi consiglia di cucinarlo con dei capperi, che crescono qua vicino.
Si premura anche di spiegarmi come preparali per metterli sotto sale e mi indica anche un punto là nella vegetazione costiera dove cresce dell’origano selvatico.
“ Magari un giorno ci andiamo insieme a prendere capperi ed origano no? “ conclude il vecchio.
Mi ha già voltato le spalle e si allontana stando bene attento a tenere l’equilibrio sui grossi massi della scogliera.
“ Certamente” rispondo convinto, io adoro i capperi e l’idea di prepararmi un paio di bruschette di pane con pomodoro fresco ed origano selvatico mi fa salire l’acquolina in bocca.
Si ferma, si volta verso di me, scherma il sole dagli occhi con la mano destra e mi sorride.



Stendo il mio salviettone sulla sdraio e mi ci accomodo, mamma si premura di portare i pesci a casa e metterli nel frigorifero, sciacquarmi la muta e stenderla ad asciugare.
Vedere quella piccola donna carica come un mulo arrancare sulla sabbia sotto il solleone delle undici di mattina mi fa tenerezza, non abbastanza tuttavia per sollevarla dal gravoso incarico.
Papà gli dice che è compito mio, ma lei lo striglia perché “ S’è fatto quattro ore in mare ma lo capisci? Lo vedi che è distrutto?” al ché babbo si offre di aiutarla.
Ora che la prima pescata è stata fatta urge socializzare, socializzare con coetanei e sopratutto graziose fanciulle, garantirsi compagnia.
Individuo il gruppo dei giovani del campeggio, sono vicini alla postazione del bagnino e chiacchierano, giocano, scherzano animatamente.
Non ho il coraggio di andare là ed attaccare discorso, mi manca la forza di volontà per presentarmi, ho bisogno di un’occasione, non me ne viene in mente nessuna.
Proprio mentre i miei tornano mi alzo e attraverso lo spazio che si frappone fa me e l’obbiettivo senza prestare attenzione alcuna ai miei simili, alle loro attività, ai suoni emessi dalla loro bocca.
M’è venuta un’idea.
Individuo il bagnino, un tizio alto ed abbronzato che sta chiacchierando con una ragazza, è sufficientemente vicino alla compagine di adolescenti.
Penso di sfruttare la sua posizione per portarmi nei pressi del gruppo e valutare gli elementi femminili, sondare il campo.
“ … ‘giorno!” esordisco “ sono appena arrivato e volevo alcune informazioni “ sorrido amabilmente, i suoi occhi scuri si staccano dalla pelle liscia e chiara di una ragazza spostandosi su di me.
“ Ciao.”
Pausa.
“ Dimmi.”
“Ciao” rispondo cortesemente “ sono arrivato ieri e volevo chiedere se è un problema che io la mattina alle sei mi immergo per “ una ragazza strilla qualcosa e mi punta l’indice dritto al volto.
Alta, ossuta, occhialoni da sole e smalto blu scrostato sulle unghie delle mani.
“ Tu sei quello che ieri s’è buttato vestito! Troppo forte cioè sei arrivato di corsa hai cagato tipo nessuno e splash!” si volta verso le amiche e gli amici e gli rinfresca la memoria, quelli dicono “ ah, si, visto anche io!”
Rotto il ghiaccio col gruppo, il diversivo del bagnino non mi serve più, lo congedo con un cenno della mano e lui ricomincia a chiacchierare con la ragazza di prima.
Presentazioni, strette di mano, di dove sei che cosa fai di bello quanti anni hai.
Rispondo ed a mia volta mi informo sul loro conto, cerco di fissarmi i nomi nella memoria.
La smilza con gli occhialoni da sole si chiama Maria, Simone è il nome di un ragazzo della mia età basso e tarchiato, con una scodella di capelli castani in testa.
La sua amica Federica è più bassa di Maria e più attraente nell’anatomia, con forme piene e morbide, ma dotata di una parlantina tediosa ed invadente; non ti lascia finire di rispondere che già passa ad una nuova domanda e prima ch’io possa finire una battutina scoppia a ridere.
Sergio, Stefano, Arianna, Lucia, Marta.
Tutti nomi appiccicati a facce qualsiasi, i volti che hanno tutte le amicizie nate e morte nell’arco di una vacanza.
Per ora sono la mia compagnia, va bene così, vanno bene anche i rapporti usa e getta.
Il numero dei ragazzi però è inferiore a quello da me valutato il giorno prima, e chiacchierando sento nomi di persone che non sono presenti .
Da come ne parlano, però, capisco che fanno parte della compagnia e che essendo Domenica al paese qui vicino è giorno di mercato, gli assenti sono andati a passeggiare fra bancarelle ed artigianato locale.
Chiedo cosa si fa di bello il pomeriggio o la sera, è Maria a rispondermi “ tipo il pomeriggio ci si trova in piscina, la sera si sta al bar e poi si decide cosa fare, c’è Luca che ha la macchina e magari ci porta in qualche locale però sulla macchina si va solo in cinque ...”
Simone chiede se qualcuno ha visto Chiara, Sergio risponde che sta prendendo il sole ed indica una ragazza sdraiata poco lontano sotto ad un ombrellone con vicino un bimbo sui 4 anni ed una coppia adulta.
Simone osserva a lungo la figura stesa, immobile, catalizzata dai raggi solari.
Sospira.
Federica salta su di scatto dalla sdraio, passa un auricolare del lettore MP3 all’orecchio di Maria e le due si paralizzano un istante, poi si mettono a cantare con voci stridule ed un tono troppo alto Bad Romance di Lady Gaga, colgo l’occasione per divincolarmi e tornando dai miei passo davanti a Chiara.
Caschetto di capelli scuri, longilinea ma dotata di fianchi rotondi e sodi e di un bel sedere.
Un braccio è lasciato cadere dalla sdraio, le dita nella sabbia, pelle liscia, chiara.
E’ supina e non gli vedo il viso, mentre avanzo con passo misurato il bimbo mi lancia un’occhiataccia.
Solleva la paletta gialla dalla sabbia e sembra voglia scagliarmela addosso, quelli che penso siano i loro genitori non fanno caso a me.
Mi avvio con più solerzia verso il mio ombrellone, vedere un due natiche lisce, rotonde, ben proporzionate mi causa un’erezione e non mi va di attraversare famigliole ed anziani spiaggiati col costume gonfio.
Appena mi stendo un tizio in pantaloncini blu e maglia bianca si avvicina e si presenta.
“ Benvenuti, voi siete arrivati ieri vero? Siete nuovi ospiti del villaggio vacanze, io sono ufficialmente tenuto a darvi il benvenuto, mi occupo dell’animazione con un collega e due ragazze “ indica un tale alto ed allampanato e due biondine, tutti vestiti come lui, che stanno facendo ginnastica aerobica con un gruppo di donne anziane.
“ Mi chiamo Paolo e sono il capo animatore, ogni giorno ci saranno giochi ed attività a tutte le ore, controllate il manifesto alla bacheca del bar!”
L’amico è entusiasta, il suo lavoro deve piacergli molto.
“ Il pomeriggio per i ragazzi della tua età organizziamo attività sportive come tornei di calcetto o pallavolo, ti piace il calcetto? “
“ No.”
“ La pallavolo?”
“ No.”
“ Beh allora ci inventeremo qualcosa che possa piacerti èh?! Ha ha! Pallacanestro?”
“ Mh.”
“ Tennis?”
Poso il manga che avevo cominciato a leggere e lo guardo in faccia, ha un’espressione simpatica, un pizzetto nero sorregge un bel sorriso largo e bianco.
“ Si, ci hai preso, Tennis, si.” Lo fisso serio, papà sospira e borbotta “ci mancava il tennis.”
“ Occhei tieniti pronto!” dice l’animatore mentre si allontana “ te lo trovo io il rivale giusto, facciamo una cosa in grande tipo Roland Garros, te lo creo io l’evento!”
Se ne torna di corsa alla sua postazione, vicino agli altri animatori e si reintegra nell’esercizio a ritmo di musica.
Una musica orribile, elettronica, gracchiata fuori da due casse scoppiate che fa muovere al suo ritmo martellante flaccide panze, carni cadenti, bicipiti dondolanti e superfici di pelli grinzose, piene di nei.
Almeno le due animatrici non sono niente male ma trovo più stimolante leggere all’ombra comodamente abbandonato sulla sdraio.
Sena Kobayakawa ce la mette tutta ma il suo rivale Shin è troppo forte.
Mi chiedo se avrò mai la mia occasione di essere Sena Kobayakawa, di affrontare una sfida impossibile, di impegnarmi al massimo in qualcosa.
Di crederci.
Leggo, leggo tanto, pagina dopo pagina, in ogni libro o fumetto cerco quella realtà che l’esistenza fisica non possiede.
Tutti non fanno che ripetere che il mondo è dei furbi, degli stronzi, che cane mangia cane, pesce grande ingoia il piccolo per diventare ancora più grande.
Come posso pensare di essere diverso quando anche i fatti danno ragione a queste tristi metafore? Quando le persone che ho vicino mi accettano se rispetto l’idea che loro hanno di me e mi emarginano se non condivido le loro scelte, i loro gusti?
Dove sono i valori? La libertà?
Giro pagina, altro fallimento del piccolo Sena, si rialza.
Leggo con avidità, sulla carta stampata sopravvivono valori come coraggio, amicizia, volontà, onore.
Dov’è la realtà fra l’universo fisico meschino e bugiardo ed il regno della fantasia che custodisce sentimenti, passione, libertà espressiva, valori?

Edited by J-Pao - 4/8/2010, 15:38
 
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